SEDE

L’antica Biblioteca dei Padri oratoriani, oggi meglio nota come Salone Borromini, è un maestoso ambiente a pianta rettangolare, con copertura lignea a cassettoni rivestita in stucco color travertino e pavimentazione in cotto bicromo. Inaugurato da Francesco Borromini nel 1644, luminosissimo grazie all’apertura di 16 finestre incluso il balcone che affaccia su piazza della Chiesa Nuova, era in origine un ambiente più piccolo dell’attuale, perfettamente corrispondente in ampiezza al registro superiore della facciata esterna del complesso, suddivisa in cinque interassi ad andamento concavo racchiusi tra due ali laterali più basse rifinite da volute.

Sui due lati minori l’antico vaso librario era affiancato da bassi camerini, adibiti a diversi servizi, tra cui il prestito e la raccolta di collezioni di antiquaria e naturalia di Virgilio Spada. L’impianto fu ampliato a partire dall’ottobre del 1665 dall’architetto Camillo Arcucci, che fuse con il Salone i piccoli vani rivolti verso l’attuale via dei Filippini, allineandone così la parete terminale occidentale alla sottostante sala dell’Oratorio. In tal modo si sopperiva a sopraggiunti problemi di statica e a nuove necessità di spazio da destinare all’incessante incremento delle collezioni librarie, sacrificando però l’originale simmetria del progetto borrominiano.

Le diverse fasi progettuali del Salone, che acquisì la veste definitiva solo nel 1667, sono note grazie alla descrizione realizzata a quattro mani da Francesco Borromini e dallo Spada, corredata di 67 tavole, nota come “Opus Architectonicum” di cui la Biblioteca conserva due esemplari dell’edizione a stampa, edita nel 1725.

La copertura lignea, la cui imponenza è alleggerita dal rivestimento in stucco, si articolava originariamente in 15 cassettoni (divenuti 21 a seguito dell’ampliamento) ornati alternativamente da inserti plastici di stelle a otto punte (simboleggianti gli Evangelisti ed i Dottori della Chiesa), e tele a grisaille con coppie di angioletti, incluse in cornici circolari a festoni. I due riquadri principali, delimitati da cornici ovoidali, ospitano due tele monocrome a tema allegorico: la Divina Sapienza (Giovanni Francesco Romanelli, 1643) e la Mediocritas (Lazzaro Baldi, 1667).

La tonalità chiara del soffitto si armonizza con gli intonaci delle pareti, scandite da un ordine gigante di paraste scanalate coronate da capitelli corinzi, in un sapiente e studiato contrasto con la tonalità calda e scura degli arredi: le antiche scaffalature disposte su due piani, le sottili colonne affusolate che sostengono il ballatoio superiore e le balaustre dei parapetti, impreziosite dall’alternanza di inserti ad intaglio con stelle, gigli e cuori fiammeggianti, allusivi alla simbologia filippina sono, infatti, tutti realizzati in legno di noce.

Al camminamento soppalcato si accede salendo le quattro scale a chiocciola d’angolo, nascoste alla vista grazie all’effetto trompe l’œil delle scaffalature semiesagonali, ornate da dorsi “finti” in bianca pelle di capra a emulazione delle coperte degli antichi libri allineati lungo le pareti del Salone, la cui continuità visiva è cosi garantita. Come riportato nell’Opus, questa ingegnosa soluzione fu realizzata da padre Giovanni Antonio Jannarelli, che al tempo si prodigò anche per ornare con stampe celebrative di uomini illustri il fondo delle scansie fronteggianti i cassetti a ribalta inclinata che a quel tempo custodivano al loro interno gli antichi manoscritti e che, inseriti ad opportuna altezza lungo tutte le scaffalature del Salone, si offrivano anche  come comodi leggii. Gli scaffali a giorno lasciano a vista i circa 28.000 volumi (edizioni a stampa che spaziano dal XVI al XIX secolo), la cui suddivisione per materie si evince da cartigli a fondo dorato, posti alla base dei ballatoi, che ne recano l’indicazione.

La bella pavimentazione, realizzata alternando cotto rosso e giallo chiaro, è impreziosita da motivi che dialogano con le cornici ovoidali del soffitto.

L’arredo del Salone è completato dalla bella Libraria lignea realizzata nel 1662 su commissione di Cesare Mazzei e destinata a custodire i testi appartenuti a S. Filippo Neri, da un bel busto marmoreo del santo, dal rilievo a mezzo busto di Cesare Baronio che domina in alto e al centro la parete meridionale e da due globi di fine XVI secolo giunti alla Congregazione con il lascito testamentario di Vincenzo Badalocchi, attribuiti da recenti studi a Matteo Pagano da Treviso.

Il Salone è stato interessato da un recente restauro (2015-2016).

BIBLIOGRAFIA

Opus architectonicum equitis Francisci Boromini (…) Roma, Sebastianus Gianninus editit, ac excudit ad Anchor insigne in foro Agonali, 1725.

Moroni, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da S. Pietro sino ai nostri giorni, Venezia 1844, v. XXIV, p. 287.

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Borromini e l’universo barocco, cat. mostra a cura di R. Bösel e C.L. Frommel, Milano Electa 2000, pp. 136-155.

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