
di Anna Villa – fotografie di Marta Giacomelli
« Chi fa il bene in Roma fa bene in tutto il mondo »
S. Filippo Neri
La novità dell’apostolato di Filippo Neri, fiorentino dallo spirito mordace trapiantato in una Roma del ‘500 caratterizzata da tragici eventi, devastata da malattie e pestilenze, affollata di poveri, meretrici e accattoni, afflitta dai malcostumi della Chiesa, sconvolta da drammatici avvenimenti come il Sacco di Roma (1527), fu l’annuncio della verità della fede alle persone umili che incontrava nelle vie e nelle piazze della città, agli esclusi, ai mendicanti, ai giovani che riusciva ad avvicinare. Deciso a servire Dio, Filippo Neri, al suo arrivo a Roma, nel 1534, trovò una città in rovina, alla ricerca disperata di soccorso. Definito da Sant’Ignazio di Loyola la campana della Chiesa per il suo fervore apostolico e la letizia che contraddistingueva il suo operato, Filippo Neri ebbe i primi contatti con il Cristo sofferente attraverso l’Arciconfraternita di S. Girolamo della Carità, che provvedeva ai funerali dei poveri, procurava una dote alle ragazze indigenti e faceva visita ai carcerati, e attraverso il sodalizio della SS. Trinità dei Pellegrini dove prestò il suo soccorso e portò la sua lieta novella. « Fu cosa di molto esempio – si legge nei documenti dell’archivio della Confraternita – il vedere l’affetto grande col quale Filippo e i suoi compagni servivano a tanta moltitudine, provvedendoli nel mangiare e accomodando i letti, lavando loro i piedi, consolandoli con parole e finalmente facendo a tutti compitissima carità ».
Il giovane Filippo recò l’esercizio fecondo della carità cristiana negli ospedali romani dell’epoca, S. Giacomo degli incurabili e S. Spirito in Saxia, dove diede il conforto agli infermi, dedicandosi anche ai servizi più umili. Come racconta Pietro Giacomo Bacci nella Vita del santo, il fiorentino « era solito frequentare l’Ospedale degli Incurabili con i suoi discepoli e li esortava a recarvisi spesso come ad una scuola del dolore, per imparare a vivere cristianamente ».
Su consiglio di Persiano Rosa, suo padre spirituale, Filippo Neri fondò nel 1548 la Confraternita della SS. Trinità dei Pellegrini, inizialmente denominata SS. Trinità del Sussidio, allo scopo di aiutare i più bisognosi. Ma già nel 1550, in occasione dell’Anno Santo, la Confraternita si dedicò in particolare all’assistenza dei numerosi pellegrini che venivano a Roma, realizzando un vero e proprio ospizio che offriva un ricovero per la notte a quelli che giungevano da lontano (il regolamento stabiliva che « pellegrini e pellegrine saranno ricevuti all’ospizio purché non vengano lontano meno di 60 miglia »), nel 1551 estese il sostegno anche ai convalescenti dimessi dagli ospedali e nel 1560 venne elevata al rango di Arciconfraternita da Pio IV.
Filippo Neri annunciò la Parola di Dio sulle piazze, sulle strade, ovunque. Il suo zelo apostolico lo portava a cercare i peccatori ogni giorno ed in tutti i luoghi con ardente desiderio di comunicare la gioia e l’amore di Dio: « L’uomo che non prega è un animale senza parola ».
Il fondatore dell’Oratorio ebbe l’intuizione di una forma di pellegrinaggio romano, la visita alle Sette Chiese (le quattro basiliche maggiori, S. Pietro, S. Paolo, S. Giovanni in Laterano, S. Maria Maggiore, e le tre basiliche minori, S. Sebastiano fuori le Mura, S. Lorenzo al Verano e S. Croce in Gerusalemme), un itinerario devozionale di circa sedici miglia che si svolgeva, tra canti e preghiere, dapprima in una sola giornata poi in due giorni, con una pausa a Villa Mattei, l’attuale Villa Celimontana, dove i pellegrini potevano consumare una refezione offerta dai padri Filippini. Il pellegrinaggio, istituito ufficialmente il 25 febbraio 1552, giovedì grasso, proprio per opporre agli eccessi del Carnevale romano un momento penitenziale e la meditazione sulla Passione, ebbe il suo massimo splendore sotto il pontificato di Pio IV: la folla che seguì Filippo Neri lungo il percorso fu così numerosa da raggiungere le 2000 persone. Attualmente il Giro delle Sette Chiese, ripreso in occasione del Giubileo del 2000, si svolge di notte in forma collettiva, guidato da un Padre della Congregazione dell’Oratorio, due volte l’anno: a settembre, per la festa dell’Esaltazione della Santa Croce, e a maggio, all’inizio della novena di S. Filippo.
Un’altra consuetudine di Filippo Neri era quella di visitare i luoghi santi quali le catacombe di S. Callisto e S. Sebastiano. Nella sua deposizione al primo processo di canonizzazione del santo, Padre Germanico Fedeli rammenta di aver udito più volte dalla bocca di Filippo che egli da giovane « andava spessissime volte, solo, di notte, alle Sette Chiese, pernottando nelle dette Chiese, et, anco nel cemeterio di Calisto, et, che, quando trovava le chiese serrate, si fermava nelli porticati di dette chiese, a far oratione, et [… ] alle volte a leggere qualche libro al lume della luna ». Che il giovane Filippo frequentasse i più antichi monumenti cristiani e fosse solito raccogliersi in preghiera a S. Sebastiano, sulla via Appia, è attestato anche dalle dichiarazioni dei suoi compagni, durante il primo processo: egli per «dieci anni…era stato nelle grotte di S. Sebastiano, dove viveva di pane et di radiche d’herbe ».
Fu proprio a S. Sebastiano che, alla vigilia della Pentecoste del 1544, lo Spirito Santo dette a Filippo un cuore di fuoco che fino alla morte, avvenuta il 26 maggio 1595, continuò ad ardergli nel petto. Un episodio miracoloso che gli causò una dilatazione del cuore e delle costole, evento scientificamente attestato dai medici dopo la sua morte. Molti testimoniarono di aver visto spesso il cuore tremargli nel petto e che, a contatto con esso, si avvertiva uno strano calore.
Una data fondamentale nel cammino spirituale di Filippo Neri fu il 23 maggio 1551 quando, nella chiesa di S. Tommaso in Parione, a pochi passi dalla Vallicella, a 36 anni venne ordinato sacerdote. Ma fu a S. Girolamo della Carità che Filippo Neri cominciò a gettare le radici della futura Congregazione dell’Oratorio riunendo intorno a sé un gruppo sempre più numeroso di volontari decisi a seguire il suo esempio di servizio al prossimo.
Nel 1564, su insistenza della comunità fiorentina, desiderosa di avere una figura carismatica a capo della nuova chiesa nazionale, divenne rettore della basilica di S. Giovanni dei Fiorentini, in via Giulia. Dopo il soggiorno trentennale lasciò a malincuore la casa di S. Girolamo della Carità: come ricorda padre Antonio Cistellini, nell’opera S. Filippo Neri, l’Oratorio e la Congregazione oratoriana, il Neri « delle stanze di S. Girolamo volle però conservare sempre le chiavi per poterne disporre ».
Quando Gregorio XIII con la bolla Copiosus in Misericordia del 15 luglio 1575 affidò al « diletto figlio Filippo Neri, prete fiorentino e preposito di alcuni preti e chierici », S. Maria in Vallicella, l’antica chiesa dedicata alla Natività della Madonna era ridotta in rovina e per metà interrata. Il tempio venne demolito e iniziarono i lavori di ricostruzione, solo la fede e la tenacia di Filippo riuscirono a superare le molte difficoltà. E la Chiesa Nuova, così la ribattezzarono i romani, divenne sede della Congregazione dell’Oratorio. In quel luogo il fiorentino diede vita ad una comunità di persone che aspiravano ad una vita cristiana più vera e con semplicità e umiltà si dedicava ai poveri, agli emarginati, ai diseredati di una Roma ferita da tanti avvenimenti ma pur sempre città della Fede.
Soprannominato il giullare di Dio per la sua missione di carità praticata con letizia, Filippo Neri amava i fanciulli: « State buoni, se potete! », era solito dire ai ragazzi che vivevano per le strade di Roma, spesso abbandonati a stessi. Per loro Filippo arrivava persino a mendicare per le strade e alle porte dei palazzi della nobiltà romana. Un giorno, un signore, infastidito dalle sue richieste, gli diede uno schiaffo. Filippo non si scompose: « Questo è per me » disse sorridendogli « e ve ne ringrazio. Ora datemi qualcosa per i miei ragazzi ».
Filippo Neri amava recarsi alla chiesa di S. Onofrio al Gianicolo e nell’orto adiacente, la cosiddetta vigna de’ carciofoli, proprietà dei padri oratoriani. Presso quella che è conosciuta come la quercia del Tasso, abbattuta nel 1842 da un fulmine e di cui oggi resta solo il tronco, il santo era solito passeggiare e conversare con i giovani. In quel luogo in cui trovò rifugio l’autore de La Gerusalemme Liberata, Filippo Neri, come ricorda l’epigrafe posta nel 1898, « tra liete grida si faceva / coi fanciulli fanciullo / sapientemente ».
Secondo le cronache dell’epoca Filippo Neri aveva un’abilità speciale nel coinvolgere gli artisti a mettere il loro genio al servizio di Dio: nacquero così gli Oratori in musica, gli Annali di Storia Ecclesiastica ed il rinnovato interesse per l’archeologia sacra.
Filippo Neri era anche conosciuto tra la nobiltà romana. Padre spirituale della famiglia dei principi Massimo, il 16 marzo del 1583 Filippo ottenne da Dio, come riportarono le testimonianze dei presenti nel corso del processo canonico, il miracolo della risurrezione del giovane Paolo, figlio primogenito del principe Fabrizio, suo fedele discepolo. La mattina di quel giorno, il ragazzo, ammalato da 65 giorni, era entrato in agonia e aveva chiesto di vedere padre Filippo, che giunse quando il giovinetto era già spirato da mezz’ora. Commosso, il sacerdote si accostò al petto il corpo esanime di Paolo, gli mise una mano sulla fronte e invocò Dio, quindi lo asperse con l’acqua benedetta e riprese ad avvicinarselo al petto chiamandolo per nome. Paolo riaprì gli occhi, parlò per alcuni minuti con padre Filippo e, stretto tra le sue braccia, dopo aver risposto affermativamente alla domanda del santo, che gli chiedeva se desiderasse andare in cielo a rivedere la mamma e le sorelle, mentre il sacerdote esclamava « E allora va’ in pace…» chiuse gli occhi e si riaddormentò nel sonno della morte. Dopo l’episodio miracoloso la stanza venne trasformata ed abbellita e ancora oggi, nel giorno dell’anniversario, è possibile visitare la cappella del Palazzo Massimo alle Colonne, in Corso Vittorio Emanuele, che conserva, tra le molte reliquie, gli occhiali del santo.
La popolarità e l’affetto del popolo nei confronti di Pippo Bono è testimoniata dalle numerose edicole sacre, effigi che lo ricordano agli angoli dei palazzi e delle strade dei rioni Regola e Parione, nei dintorni della Chiesa Nuova o lungo le altre tappe del suo apostolato. Le edicole sacre, che a Roma vengono chiamate madonnelle, sono il simbolo e, al tempo stesso, la testimonianza di una religiosità popolare e, più in generale, di un modo di vivere la città. Le edicole, dal termine latino aedicula, nicchia, costituiscono un vero e proprio documento storico, un segno di devozione che si è integrato in un tessuto urbano caratterizzato da stratificazioni profonde. Secondo una verifica, effettuata nel 1999 dal Comune di Roma, nei rioni del centro storico sono conservate 522 edicole sacre, un numero piuttosto considerevole anche se di gran lunga inferiore a quello attestato nel 1853 da Alessandro Rufini, che ne contò circa 1100 e fu il primo a realizzarne una completa ricognizione.
Fra le edicole sacre legate a S. Filippo vi è la madonnella posta in via del Governo Vecchio, all’angolo con Via della Chiesa Nuova: una cornice ovale in stucco decorata con foglie, volute e fiori e sostenuta da due cherubini, racchiude un affresco della fine del ‘600 che raffigura la Madonna Vallicelliana col Bambino sulle ginocchia e i Ss. Filippo Neri e Carlo Borromeo in adorazione; al di sopra dell’edicola è situata una lapide marmorea apposta nel 1675: « Clemente X Pontefice Massimo, con il consenso della Congregazione dell’Oratorio, per pubblica comodità e (per consentire) un accesso migliore alla chiesa, aprì e lastricò la via nell’Anno Santo 1675 ».
Un’altra immagine sacra legata a Filippo Neri è il dipinto su lavagna sorretto da due putti posto a Piazza Farnese, all’angolo tra via di Monserrato e via dei Farnesi, sul palazzo Fioravanti De Cadilhac. Sorretto da due putti, il medaglione seicentesco racchiude l’immagine della Madonna col Bambino e di S. Filippo che si china a baciare il piede di Gesù. Il dipinto è attribuito alla scuola di Federico Barocci, detto il Fiori. All’incrocio tra via del Pellegrino, l’antica via Peregrinorum, e l’Arco di S. Margherita, si trova una delle edicole barocche più famose di Roma: il grande tabernacolo in stucco è opera di Francesco Moderati che lo eseguì nel 1716 per 139 scudi, su commissione del Cardinale Pietro Ottoboni che volle l’edicola proprio di fronte al suo studio nel palazzo della Cancelleria. La statua, coronata da un fastigio ornato da due angioletti, raffigura l’Immacolata Concezione con il bambino. Nella sua posa, la Vergine evoca l’immagine dipinta da Caravaggio nella pala della Madonna di Loreto (1604), La Madonna dei pellegrini. Nel medaglione sotto la statua è raffigurato S. Filippo in estasi, ai piedi dell’Immacolata, affiancato da una coppia di aquile a due teste, simbolo della famiglia degli Ottoboni.
La tela conservata in vicolo del Bollo, che il Rufini dice venerata sia il 26 maggio, festa di S. Filippo, che nel giorno dell’Assunta, riproduce il dipinto del 1614 di Guido Reni, con la visione della Madonna al santo, immagine ampiamente diffusa ed incisa da Luca Ciamberlano già nel 1616.
Il culto per Filippo Neri, dichiarato beato il 25 maggio del 1615 da Paolo V e proclamato santo il 12 marzo 1622 da Gregorio XV dopo un lungo processo di canonizzazione, fu immediatamente sentito dal popolo romano che accennava spesso a interventi miracolosi del sacerdote. Il popolo dell’Urbe lo volle come compatrono della città e fin dal 1609 l’amministrazione capitolina introdusse l’usanza di offrire ogni anno alla chiesa della Vallicella, in occasione della festa del fondatore dell’Oratorio, un calice d’argento in segno d’affetto e di riconoscenza.
Definito il Socrate cristiano dal cardinale Agostino Valier, Filippo Neri non scelse la vita solitaria, ma svolse il suo ministero fra la gente del popolo, diventando la luce e il sale di Roma, secondo la parola del Vangelo, come ha ricordato Giovanni Paolo II nella sua lettera ai membri della confederazione dell’Oratorio, in occasione del IV centenario della morte del santo. Intrepido nell’annuncio del messaggio cristiano, Filippo fu sorgente di luce per tutti e si propose anche di essere sale per quanti lo incontravano.
Anche Papa Francesco, nella ricorrenza del V centenario della nascita di S. Filippo, nel suo messaggio ai padri oratoriani ha sottolineato la missione di cesellatore di anime dell’ apostolo di Roma favorita « dall’attrattiva singolare della sua persona, contraddistinta da calore umano, letizia, mitezza e soavità. Queste sue peculiarità trovavano la loro origine nell’ardente esperienza di Cristo e nell’azione dello Spirito divino che gli aveva dilatato il cuore ».
Proprio nell’anno del Giubileo straordinario della Misericordia voluto da Bergoglio, il pontefice ricorda l’impegno apostolico di S. Filippo, mettendo in evidenza il fatto che, nel suo metodo formativo, egli seppe servirsi della fecondità dei contrasti: innamorato dell’orazione intima e solitaria, Filippo insegnava nell’Oratorio a pregare in fraterna comunione; fortemente ascetico nella sua penitenza anche corporale, proponeva l’impegno della mortificazione interiore improntata alla gioia e alla serenità del gioco. Appassionato annunciatore della parola di Dio, Filippo fu predicatore tanto parco di parole da ridursi a poche frasi quando lo coglieva la commozione.
Come ha dichiarato il pontefice nella sua lettera al procuratore generale della Confederazione dell’Oratorio, la paternità spirituale di Filippo Neri traspare infatti da tutto il suo agire, caratterizzato dalla fiducia nelle persone, dal rifuggire dai toni foschi ed accigliati, dallo spirito di festosità e di gioia, dalla convinzione che la grazia non sopprime la natura ma la sana, la irrobustisce e la perfeziona. E l’operato di Filippo Neri, il quale aveva scelto di stare a contatto con l’umanità sofferente, è ben rappresentato dalla scultura che si trova davanti all’ingresso principale dell’attuale ospedale di S. Spirito, sul Lungotevere in Sassia, la statua del Cristo Mendicante, opera in bronzo dell’artista canadese Timothy Schmalz che l’ha donata al nosocomio nel 2004. La scultura raffigura Gesù seduto a terra con il volto seminascosto da un cappuccio e la mano aperta nell’atto del chiedere l’elemosina che lascia intravedere il foro lasciato dalla Croce. Il titolo dell’opera, Whatsoever you do, fa riferimento al versetto del Vangelo di Matteo: « In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me » (Matteo 25; 40).
Buon pastore nella Roma del ‘500, Filippo Neri, autentico padre e maestro delle anime sempre alla ricerca della pecorella smarrita del suo gregge, era profondamente convinto che il cammino della santità si fonda sulla grazia di un incontro, quello con il Signore, aperto ad ogni persona, di qualunque stato o condizione, che lo accolga con lo stupore dei bambini.
I luoghi
Ospedale di S. Giacomo in Augusta o degli Incurabili
Arcispedale di S. Spirito in Saxia
Catacombe di S. Sebastiano e di S. Callisto
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Intervento di Anna Villa al convegno di studi “Filippo Neri. Un santo dell’età moderna nel V centenario della nascita (1515-2015)” tenutosi nel Salone Borromini della Biblioteca Vallicelliana il 16 e 17 settembre 2015.


Ultimo aggiornamento il 9 Dicembre 2024